Si configurano le ipotesi di reato (illecito penale) e illecito civile per il datore di lavoro che non si adoperi per garantire con ogni mezzo e procedura la sicurezza negli ambienti di lavoro.
Le inadempienze relative alle misure COVID-19 sono penali e civili
Il Codice Civile dispone, all’art. 2087 che
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. (art. 2087 cc)
Il riferimento principale in tema di sicurezza aziendale è il D.Lgs. n. 81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro), una summa che contiene le disposizioni normative in tema di sicurezza e salute dei lavoratori nel luogo di lavoro, prescrivendo al tempo stesso, gli interventi necessari al fine di tutelarli e migliorare le condizioni. Come spesso accade, però, si deve osservare che Summum ius, summa iniurua.
L’infezione da COVID-19 rientra tar le malattie infettive e, come tale, è coperta dall’Inail per gli assicurati che la contraggono “in occasione di lavoro”. A chiarirlo ci ha pensato il DL n. 18 del 17 marzo 2020 cd “Decreto Cura Italia” all’art. 42 comma 2 ribadito e rilanciato dalla circolare Inail n. 13 del 3 aprile 2020.
A specificare, poi, quali debbano essere le misure da adottare per contrastare il contagio da COVID-19 ci ha pensato la Presidenza del Consiglio dei Ministri, inserendo all’art. 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020, l’imposizione per tutte le imprese di osservare il “ Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali ed aggiornato lo scorso 24 aprile 2020”.
Tale documento impone obblighi di informazione, sorveglianza sanitaria (che si può fare solamente dotandosi di un termometro e misurando la temperatura), di adozione di misure per la protezione individuale, l’igiene e sanificazione degli ambienti e degli oggetti (mettendo anche a disposizione degli erogatori di disinfettante).
Cosa fare
È chiaro, dunque, che le misure da adottare per tutelare il dipendente da COVID-19, rientrino a tutti gli effetti tra gli adempimenti obbligatori in tema di sicurezza sul lavoro, che determinano, in capo al datore di lavoro, una responsabilità penale nel caso in cui un dipendente affermi di aver contratto la malattia (anche rimanendo asintomatico) sul luogo di lavoro.
Secondo l’art. 40 comma 2 del Codice Penale, infatti, si tratterebbe di reato omissivo improprio, o reato commissivo mediante omissione. Nello specifico, oltre alla circostanza aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.), il datore di lavoro risponde del reato di lesioni (salvo ipotesi di malattia lieve, guaribile in meno di 40 giorni, per cui si può procedere con una querela), oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p., se a seguito del contagio sia seguita la morte. In merito a quest’aggravante non è sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato a causa della violazione dell’art. 2087 c.c. che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.
Sembra, inoltre, molto difficile per il lavoratore che contrae il coronavirus, escludere con sufficiente certezza l’esistenza di altre cause di contagio esterne alla responsabilità datoriale e fornire la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.) della colpevolezza del datore di lavoro.
Tutto questo è vero a patto che il datore di lavoro dimostri di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge ed eventuali misure aggiuntive per escludere in capo a sé ogni responsabilità.
Anche perché il contagio da coronavirus all’interno del luogo di lavoro non esenta il datore di lavoro dal risarcimento del danno anche in sede civilistica, ai sensi dell’art. 2043 cc.