In questi giorni si è fatto un gran parlare di cosa fare per riaprire in sicurezza le aziende. Si sono moltiplicate le ordinanze e le ipotesi, si sono differenziati i settori e dilazionate le date. A tutto questo caos, dovuto al moltiplicarsi delle indicazioni – a volte contraddittorie – provenienti dalle diverse istituzioni, si sperava che il discorso del Premier Conte avrebbe messo fine, facendo un po’ di chiarezza, invece l’unico risultato che ha ottenuto è stato quello di scatenare una rabbiosa reazione del mondo produttivo (e anche della CEI, che a rituali sospesi probabilmente ha visto diminuire gli incassi delle elemosine).
Cosa c’è di certo sulle procedure da seguire per riaprire?
L’unica cosa chiara è che il 24 aprile è stato siglato un nuovo Protocollo di Intesa con le parti sociali, che riprende e aggiunge qualche indicazione soprattutto per la parte relativa ai casi di positività al COVID-19, che dovessero presentarsi in azienda. Ma facciamo un passo indietro e vediamo ad oggi quali sono i documenti che è indispensabile conoscere. Eccoli elencati e linkati:
In questo primo approfondimento, visto quanto si dispone nel protocollo, vogliamo affrontare immediatamente una situazione che tutti vogliono scongiurare, ovverosia, quella di riscontrare un lavoratore potenzialmente positivo al COVID-19 all’interno dell’azienda.
Perché è indispensabile dotarsi di un rilevatore di temperatura o di un termo scanner
Chiaramente è il pericolo più grande per i lavoratori, ma anche per l’azienda che dovrà mettere in opera una serie di azioni che la riporteranno indietro, allo stato di chiusura e improduttività temporanea.
Secondo il Protocollo di Intesa del 24 aprile, nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria quali la tosse “(…) lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale”, dice poi che “(…) si dovrà procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria e a quello degli altri presenti dai locali, l’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza per il COVID-19 forniti dalla Regione o dal Ministero della Salute.”
Aggiunge anche che l’azienda deve collaborare con le autorità sanitarie a definire gli eventuali “contatti stretti” così da consentire alle autorità di applicare “(…) le necessarie e opportune misure di quarantena”.
Il protocollo parla di periodo di indagine, il che significa che ogni attività in azienda si fermerà fino a quando l’autorità sanitaria avrà svolto le sue ispezioni e tirato le conclusioni.
Avere il rischio di avere in azienda un collaboratore positivo al COVID-19 è, quindi, uno scenario da evitare perché, di fatto, significa sottomettersi alle tempistiche e alle decisioni dell’autorità sanitaria. Questo espone l’azienda al pericolo di avere per un periodo di minimo 30 giorni le maestranze a casa e improduttive. Ricordiamo infatti che il tampone rileva la positività o meno dopo sette giorni che una persona è stata contagiata (il test rapido all’undicesimo) perciò, contagiati o meno, c’è un primo periodo di stop a cui seguirà la quarantena per i positivi.
Nel protocollo dedicato ai cantieri è fatto esplicito che “il personale, prima dell’accesso al cantiere dovrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso al cantiere.” Il protocollo poi prevede analoghe misure.
Se come si dice, “prevenire è meglio che curare”, dotarsi di un misuratore di temperatura elettronico contactless o di un termo scanner (soluzione certo più costosa, ma molto efficace) è il modo più sicuro per evitare che si verifichino nuove situazioni di chiusura forzata che si traduce in nuove perdite (di denaro, ma persino di clienti, ora che si riparte, i clienti che non riusciremo a soddisfare saranno costretti a trovare altri fornitori).